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Family Day sul Pirellone: una ragazza scrive a Maroni.

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Family Day - Pirellone - Milano - Regione Lombardia

Family Day: il Pirellone a Milano si illumina e prende una posizione precisa nel dibattito politico sulle unioni civili. Ma il Pirellone è la sede del Consiglio regionale della Lombardia, dunque ha valenza istituzionale e non è di proprietà di Maroni, non più di quanto il Quirinale sia di proprietà del Presidente della Repubblica.

Family Day - Pirellone - Milano - Regione Lombardia

Immaginate, ad esempio, che il presidente del Consiglio faccia uso di un volo di Stato e che vernici la carlinga con un messaggio pubblicitario che avvantaggi la sua parte politica (per esempio il Pd): sarebbe ammissibile?  Che succederebbe se il ministro della Difesa facesse scrivere nel cielo alle frecce tricolori, durante una cerimonia, una scritta qualunque che riporti le sue convinzioni personali? Sarebbe accettabile? Dunque abbiamo un partito politico che fa un uso personale di beni istituzionali ad esso affidati. Non somiglia molto al peculato d’uso, questo appropriamento indebito di uffici e beni pubblici (come l’illuminazione) allo scopo di lanciare messaggi privati? Quella non è la sede della Lega Nord: è la sede ove si riunisce l’assemblea dei consiglieri della Regione Lombardia.

Di seguito, la lettera di una giovane laureata, indirizzata a Roberto Maroni.

Egregio Presidente,

Buongiorno. Mi chiamo Federica Cottini, vivo a Monza, ho 24 anni, una laurea breve in Lettere e un diploma di recitazione conseguiti entrambi a Milano. Vorrei parlarle proprio di cosa è successo in questi giorni, a Milano.

Il Pirellone come la Tour Eiffel?

Dopo le prove luminose con la scritta “Family Day” apparsa sul Pirellone, la mia prima reazione non è stata diversa da quella che ho sempre quando mi trovo davanti a manifestazioni più o meno inconsciamente omofobe. Mi è venuto da ridere. Un po’ per tutta la creatività social che ci si è sviluppata intorno (continuo a pensare che illuminare “Maria de Filippi” sarebbe stato più originale e di certo più ampiamente condiviso), un po’ perché… Davvero? Insomma, nel 2016? Nel 2016 ci sentiamo minacciati da un decreto a breve in Parlamento tanto da scrivere a caratteri cubitali uno slogan sopra un pezzo di storia di Milano?

Una reazione più ragionata è stata quindi di tristezza e fastidio. Mi ha dato fastidio che il Pirellone fosse utilizzato a scopi così smaccatamente propagandistici. E soprattutto per un messaggio che gran parte dei cittadini lombardi non condivide e, ricordate, la maggioranza dei milanesi non condivide (è vero che non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, che si può essere di sinistra e essere un fervente sostenitore del family day, o viceversa, ma mi sembra ragionevole supporre che chi vi ha votati si rispecchi nella vostra posizione anche questa volta, e viceversa).

A scanso di equivoci, avete chiarito di avere illuminato la scritta soltanto in corrispondenza dei vostri piani. Credo che il ragionamento avrebbe un senso solo se quello di cui si parla non fosse un monumento milanese. Immaginate che la Tour Eiffel appartenga metà alla maggioranza e metà all’opposizione, e che la maggioranza decida di proiettare sopra alla sua metà una scritta gigantesca. Vallo a spiegare che non è quello che pensano tutti. È comunque la Tour Eiffel! È comunque Parigi! È comunque la Francia! E se il Pirellone non è noto a livello mondiale quanto la Tour Eiffel, a livello nazionale è abbastanza noto da scatenenare la produzione delle solite immagini ironiche: la London Eye arcobaleno accostata al Pirellone con il “family day”; la Casa Bianca arcobaleno accostata al Pirellone con il “family day”; la Porta di Brandeburgo arcobaleno accostata al Pirellone con il “family day”… E se è altrettanto vero che quello che pubblichiamo sui social network ormai lascia il tempo che trova, è anche vero che ancora è lo specchio, in qualche modo, di come interpretiamo quello che vediamo. In questo caso, un’altra ottima occasione per dire “ecco, vedi in Italia come siamo indietro!?”. E non ce n’era davvero bisogno. Insomma, luogo sbagliato. Aveste scelto un’altra modalità e un’altra location, avrei risparmiato questo preambolo e mi sarei limitata alle due constatazioni seguenti.

Cosa significa Family Day?

Family Day” significa letteralmente “giornata della famiglia“. È sbagliato che sia oggi sinonimo di “vogliamo tutelare la famiglia tradizionale“. Dov’è il termine “tradizionale” dentro “family day”? Io non lo vedo. È consuetudine, certo, è uno slogan, ormai, che non ho scelto io e non avete scelto voi. Allora non usiamolo. Usiamone un altro. Usiamo “vogliamo tutelare la famiglia tradizionale” se vogliamo dire “vogliamo tutelare la famiglia tradizionale”. È meno accattivante ma anche meno ipocrita. Le persone avranno più chiaro di cosa si sta parlando. Sarà che tengo molto alle parole, anche in base alla mia formazione, ma penso fortemente che dobbiamo far dire alle parole solo quello che dicono. “Family day” dice solo “family day”: non facciamogli dire altro, altrimenti continuerà a essere un’espressione mistificata che provoca amari sorrisi, al pari di “la legge è uguale per tutti” e tante altre.

Non credo che la famiglia tradizionale vada tutelata: credo che vada tutelata la famiglia. Lo dico in conformità al vostro slogan. Mettiamo in atto questa tutela, in Parlamento, concretizzando quello che peraltro la Costituzione già dice. Poi sarà gradita qualunque scritta “famiglia” su qualunque edificio.

Cos’è una famiglia?

Per quanto riguarda il contenuto del messaggio, cosa inseriamo sotto l’etichetta di “famiglia”? Un uomo e una donna sposati con figli? E se non hanno figli? E se non sono sposati? E se, nella fattispecie, sono due donne o due uomini? Credo che gli ultimi due casi vengano considerati da voi eccezioni, ed è questo ciò che vi porta di riflesso a parlare di “family day” sottintendendo “tradizionale”. Il fatto è che la tradizione è un concetto fluido: tradizionalmente i matrimoni fra persone bianche e persone di colore non erano consentiti; tradizionalmente non si divorziava; tradizionalmente non si abortiva. Poi la tradizione è cambiata. Sotto spinte più o meno visibili, è arrivato un tempo in cui il cambiamento è stato percepito come non più procrastinabile. E sicuramente in quelle fasi di cambiamento qualcuno avrà pensato che si stava andando verso il peggio, che si stava scendendo a patti con forze pericolose o quantomeno poco controllabili. Non è stato così. In materia di unioni civili, il nostro tempo di cambiamento è adesso. E non cambieremo in peggio, neanche questa volta.

E se l’opposizione avesse scritto “gay pride”? Se avessero proiettato “marriage equality” in colori sgargianti sul grattacielo Pirelli? Chi, degli infiniti sostenitori del politically correct ora tanto di moda, si sarebbe lamentato? Già, ma tanto per cominciare non è successo: e questo mi sembra già una buona risposta. Le opposizioni sono scese in piazza a livello individuale, non raggruppate senza volto dietro a due parole giganti e luminose. In secondo luogo, continuo a non comprendere come possa essere negativo che, per una volta, quello che va di moda sia la parità dei diritti.

Ancora con questa parità dei diritti!

Qualunque legge a tutela delle unioni civili non danneggia in alcun modo una famiglia costituita da un uomo e una donna. Credo che questo continui a essere poco chiaro ed è ciò che mi rende davvero difficile, ammetto, comprendere la posizione di chi si schiera contro una legge per il riconoscimento delle unioni civili.

Sono giovane e pessimista. Mi sembra talmente assurdo pensare di trovare una persona con cui avere la voglia e la forza di trascorrere tutta la vita. E soprattutto avere il coraggio di prendere un impegno definitivo come il matrimonio. Talmente assurdo che non mi sembra il caso di aggiungere altre difficoltà al pur già difficoltoso fardello quotidiano. Se un giorno prendessi una botta in testa, parecchio forte, e decidessi di sposarmi – con un uomo, con una donna -, che almeno le istituzioni mi tutelino! Come ha detto molto più semplicemente qualcuno, “se le persone omosessuali sono abbastanza pazze da volersi sposare, allora deve essere loro concesso”.

Sono stanca di parlare di parità dei diritti. Sono stanca di persone che parlano di parità dei diritti. Parlando di parità dei diritti continuiamo a parlare di passato. La domanda corretta da porsi sarebbe: quale diritto stiamo negando, a chi naturalmente già lo avrebbe? Questo è parlare di parità dei diritti. Perciò non organizziamo più gay pride o family day: sistemiamo in fretta questa situazione, e non parliamone più. Anzi, continuiamo a organizzarli, ma in un paese dove “gay pride” stia solo per “orgoglio omosessuale” e non “dammi quello che mi spetta”, e “family day” significhi solo e soltanto “giornata della famiglia”. Forse quel giorno ci verrò anch’io.

La ringrazio molto per l’attenzione, le auguro buona giornata e buon lavoro,

Federica Cottini


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